Yona Friedman, architetto teorico dell’urbanismo è riconosciuto a livello internazionale per le sue “utopie realizzabili” e per il modo di definire il ruolo dell’architetto come consulente incaricato di seguire l’elaborazione degli edifici costruiti dagli abitanti.
Yona Friedman è una figura emblematica che ben rappresenta il pensiero che ha caratterizzato la seconda metà del XX secolo per le sue posizioni filosofiche, per le sue teorie, per l’aspetto pedagogico legato al suo lavoro, per la ricerca verso una nuova libertà formale, emancipata da dogmi e ideologie.
Ha segnato profondamente la creazione architettonica del XX secolo. Concentrando le sue ricerche sull’“architettura mobile” intesa nel senso di “mobilità dell’abitare”. Negli anni Cinquanta, Yona Friedman è stato il primo a proporre un’architettura capace di essere creata e ricreata
secondo l’esigenza degli abitanti e dei residenti.
In risposta al progetto architettonico della nuova cantina disegnata da Marco Casamonti con il suo Studio Archea, l’architetto ripensa alla funzione dello spazio museale proponendo un modulo tridimensionale che diviene una struttura spaziale in cui si possono esporre interventi artistici e pedagogici. Ricollegandosi ai principi della sua Ville spatiale (1959), che insegue il concetto di architettura mobile, modificabile, l’idea dell’architetto è di creare un’Iconostasi per la cantina: una soluzione strutturale interattiva che cambia come un’architettura viva, che può essere spostata, rimossa e riconfigurata a piacimento.
La necessità sembra essere quella di pensare lo spazio architettonico e museale in termini completamente nuovi, slegati dalla fissità e rigidità strutturale di un’architettura permanente. Il principio di mobilità, in questo progetto, si fonde con il concetto mistico, quello dell’iconostasi, che per l’appunto non si basa sulla rappresentazione prospettica fissa ma, al contrario, si manifesta come una composizione visiva mutevole e perennemente agitata dall’interazione con l’ambiente, con gli oggetti e con le persone che l’attraversano. Si tratta di un’architettura che non si fonda su una griglia preesistente, ma funge da prolungamento flessibile del museo, dove gli spettatori diventano essi stessi architetti e attivi fautori del percorso museale. L’Iconostasi diventa lo spazio della circolazione, della creazione del pubblico e il luogo dove il Museo Antinori, così come propone il film di Jean-Baptiste Decavèle, costruisce un mondo rivolto al presente.